Scruta l’orizzonte dal lato finestrino l’uomo di fianco. Non
chiude gli occhi, avverte i colori della terra che sta lasciando. Chissà dove
va l’uomo di fianco, attende l’arrivo di qualcosa, magari di una notizia, nuove
direttive di lavoro, un figlio da riabbracciare che vive lontano. Le sue rughe
mi fanno capire che può aver trascorso sessant'anni anni su questa terra, rughe scavate
dalla fatica dei campi, da quel sole cocente forse, da quelle olive così
preziose per le nostre famiglie di Sud.
Nei suoi occhi fermi passano le
immagini di una vita già vissuta, mescolate a quelle dei paesaggi aridi del
Tavoliere, le sue radici, i suoi modi di fare.
Mangia in solitudine l’uomo di fianco, beve in solitudine
l’uomo di fianco. Si rivolge verso il finestrino e mi dà le spalle, quasi come
se volesse custodire il tramezzino col prosciutto che ha con sé. Non vuole che
nessuno lo veda, un modo per estraniarsi, un modo che hanno sempre avuto i lavoratori
silenziosi che mai gioiscono e soffrono pubblicamente.
E’ silenzioso l’uomo di fianco, ogni minimo movimento è
dosato alla perfezione, non un rumore di più né uno di meno per non recare
alcun disturbo. Le sue scarpe anni cinquanta con cuciture ai bordi conservano le suola
di cuoio levigate dalle strade e dalle zolle che ha percorso in questi anni.
Chissà quali! . . . sono affascinato, sento d’avere un senso di ammirazione
inspiegabile verso quest’uomo così anonimo, così incredibilmente umano. Non
noto manie da super eroe, infatti nei nostri tempi è più semplice avere un colloquio con
Batman che con il suo maggiordomo.
Il nero setoso dei suoi calzoni, di un "Dolce & Gabbana" sicuramente da stock dato il vecchio logo dell’azienda, non so perché mi porta
a pensare che non sia stato lui a sceglierlo, magari la moglie che è tornata da
quei mercati tipici pugliesi dove è facile imbattersi in marchi prestigiosi ma
in modelli fuori produzione da secoli. Ma certamente non è il tipo che corre
dietro la moda e di sicuro non è stata mai la sua preoccupazione. La sua vita
sembra scorrere nell’essenziale, in quei piaceri fugaci provati dopo una giornata
lavorativa stressante: le mani così callose ne sono la prova. Tra il nero delle
scarpe e dei calzoni vengo attratto dal verde oliva scuro delle sue calze
lanose o comunque sicuramente non di cotone, che riportano in me immaginari
avvincenti dei migranti del sud verso le
Americhe, a caccia di un nuovo futuro, ammassati nelle stive e catalogati per
ceti sociali. Il suo volto e le sue tipiche espressioni mi ricordano un Robert
de Niro nelle classiche pose di quando di un discorso non ha capito nulla, oppure
di quando resta pensoso ad osservare il suo vecchio album di famiglia.
Risalendo la sua figura, spicca l’azzurrino smunto di una
polo dei suoi anni che ricopre esattamente la sua protuberanza panciuta, dove
appoggia uno dei suoi polsi ai quali è legato uno di quei cronometri con
cinturino a maglia larga che solitamente riceviamo per le nostre comunioni. Un
tempo si usavano tanto quel tipo di regali, in acciaio ma meglio se in oro.
Anch’io ne ho uno simile, ricordo che ero felicissimo quando lo ottenni: mi
sentivo padrone del tempo, quasi come se potessi regolarlo e fermarlo a mio
piacimento. Un orologio di quelli delle favole circondati da un’ intensa aura
magica, tesori forgiati da streghe e demoni del passato e che solo quando sarei
divenuto adulto, diceva mia zia, sarei stato degno di impugnarlo. In effetti
anche eliminando tutte le maglie a disposizione, il polso era ancora troppo
piccolo. Poi col tempo ti accorgi che con quel peso potresti aumentare il
diametro dei tuoi bicipiti e dorsali, oppure potresti utilizzarlo come arma per
sfondare il cranio di qualcuno in momenti di pericolo: i classici regali di
quegli infiniti banchetti tipicamente meridionali insomma, dove qualcosa d’oro
c’era sempre come collane e bracciali, oltre al cibo sulle tavole ovviamente, capace di sfamare un
continente. Anche l’uomo che ho di fianco ne ha uno esattamente simile ... eppure
sono convinto che ha anche una collana uguale a quelle che io ho accantonato
nella cassaforte di famiglia.
Ma con un po’ di attenzione, eccola spuntare, nascosta sul
petto villoso la croce d’oro con catena, sigillo comune della nostra stirpe.
Sicuramente un regalo di famiglia, con tutta probabilità di una nonna…così
vuole la tradizione.
L’ uomo di fianco non viaggiava con uno di quei bagagli come
i nostri. Un semplice borsone nero di tela, di quelli probabilmente della
palestra, nella quale con occhio attento sono riuscito a scorgere la presenza
di sacchetti di plastica con altro cibo. Quello non manca mai nella perfetta
valigia del meridionale, preparato sempre con cura dalla moglie o mamma che
obbliga sempre a portarlo con sé, con la solita frase “Non si sà mai”. Temo
però che non abbia una moglie o quanto meno forse non sarà vivente, poiché non
sembra possedere la fede.
Man mano che risaliamo la costa adriatica, l’uomo resta
sempre più affascinato da quei luoghi che sembra vedere per la prima volta. Il
suo sguardo instancabile riporta in me immagini fanciullesche, dove la
curiosità non riusciva a farmi distaccare mai dal finestrino. Appunto scrupolosamente
ogni suo gesto come Poirot descriveva i sospetti di un omicidio: l’immobilismo
di quell’ uomo con lo sfondo continuamente mutevole generato da un treno in
corsa … affascinante! la nostra vita che fugge continuamente, avanza e non ce
ne rendiamo conto. Fermarsi forse è la soluzione, almeno ogni tanto, cercare di
riflettere su quel che ci sta passando dinnanzi, apprezzarne ogni singolo instante.
Intanto le rotaie che costeggiano questo mare nei pressi di
Ancona iniziano a virare verso l’entroterra padano: i luoghi ai quali son
sempre stato abituato a vedere da bambino fuggono per mescolarsi con i nuovi e sparire definitivamente nei
pressi di Faenza.
Di colpo lo squillo d’un telefono: una voce con accento
palesemente dell’est, forse di origine albanese risponde…è quella dell’uomo di
fianco.
Il treno ancora sferraglia, passano veloci alberi, case, si costruiscono scenari che ho immaginato da Foggia e che sono diversi da quelli che ho davanti.
Sull' uomo di fianco, improvvisamente, non avevo capito nulla.

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