lunedì 24 settembre 2012
senza nome
"Non potevo non pubblicare il mio primo brano scritto qui a Ferrara. Mi portò bene e fortuna, in un territorio che non conoscevo ancora. Non diedi mai un nome, perchè il limite per il concorso era di 3000 battute compreso spazi e temevo che rientrasse nel conteggio anche il titolo stesso del brano. Ne conta infatti 2999. Da allora ho pensato che non ci fosse nome più azzeccato di senza nome"
C’era tempo fa un tale vissuto nel medioevo che soleva esprimere la parola diritto con
una similitudine. Egli infatti accostava tale termine ad una chiesa, dalle cui vetrate al
mattino venivano proiettate forme luci e colori. Egli intendeva, con una serie di
ulteriori metafore, il predominio dello “ius” romano rispetto agli altri diritti. Un altro
medioevale invece si fermava alla prima parte e cioè ad una luce che entrava a
circoscrivere le “res divinae humanaeque” e che delineava i tratti e le sfaccettature
comportamentali di una società.
E’ qui che si rendeva conto di come il diritto potesse implicare l’unica vera base
esistenziale dei soggetti. Una società senza diritto non esisterebbe proprio come
quelle forme e quei colori, proiettati sull’antico muro medioevale di una chiesa, non
esisterebbero senza una fonte di luce.
Smistando con l’immaginazione le forme, si accorgeva che sono tante e diverse quelle
date dagli schemi delle vetrate: poteva osservare diversi tipi di poligoni.
La luce non fa distinzione su quali delle forme devono essere proiettate su quel muro,
perché la luce è uniforme, formando un unico grande disegno divino che dà loro
l’esistenza.
Così, quel medioevale varcò l’uscio immergendosi nello splendore di una fredda
mattina soleggiata. Poteva avvertire come quel sole avesse colpito ogni sua parte del
corpo. Ovunque intorno a sé mercanzie di ogni tipo e poi, dame e cavalieri. Quel sole
era talmente forte da poter scaldare chiunque e donare a tutti un sorriso. Tutti infatti
potevano avere diritto a ricevere gratuitamente il suo ausilio.
Non erano tutti felici di riceverlo. Di lato infatti, al ciglio di una strada ciottolosa mista
a letame e fieno, giaceva un lebbroso ignudo. Sapeva che prima o poi quel Dio al
quale tanto ci si affida in punto di morte, l’avrebbe presto chiamato a sé. C’era gente
che gli passava indifferente, altra invece che tentava di coprire le sue membra con
abiti usurati. Ma egli non l’accettava e ammassava i vestiti in un angolo polveroso. Era
come dare una moneta all’affamato senza speranza,un tozzo di pane ad una bestia
malata senza padrone, in termini “schopenaueristici”, si sarebbe solamente prolungata
la sua sofferenza. Il sole, voleva spegnerlo con le sue mani se avesse potuto farlo,
perché unico elemento a tenerlo forzatamente ancora in questo stato. Senza di esso
probabilmente le sue sofferenze sarebbero finite per il freddo incombente.
Così il medioevale ebbe motivo di riflettere. Ecco come il sole può divenire crudele. La
vita scorreva inesorabile dinnanzi al lebbroso che non poteva afferrarla. Anzi
l’avvertiva intorno a sé sapendo che tanti potevano gustarla e che lui non era
nient’altro che il disco spezzato di un aratro a versoio. Il suo corpo era la sua prigione.
Pensò ancora che la più grande malattia non era la lebbra, che lo aveva ridotto in
quello stato, ma ciò che continuava a prolungarla.
-Che si spenga da solo!- disse un giurista – la legge non disciplina questo caso e
chiunque lo ucciderà sarà giudicato per aver tolto la vita ad un essere umano!-
Rispose così il medioevale:- Immagina, buon giurista, di essere seduto ad un tavolo
con tante prelibatezze e persone ad una festa del paese. Tu sei l’unico a non poter
sentire né il sapore né l’odore. Intanto intorno a te tutti mangiano e ti ignorano, tutti
parlano e ballano. Tu sei immobile e vedi tutto scorrere dinnanzi. Attribuiresti ancora il
significato di festa? Quanto altro tempo ci resteresti? Buon giurista, semplice
mangiare non è gustare, semplice osservare non è percepire, semplice esistere non è
vivere.
Brano vincitore del concorso letterario "RaccontarDiritto 2006" dell 'Università di Ferrara, facoltà di Giurisprudenza.
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