Sostantività
non presenziava, quel giorno come i successivi. Rimembranze eterne ed immobili
venivano assorbite dalla carta da parati, segnata da ventagli di luce timidamente
elargiti dalle fessure delle persiane.
L'odore amaro dei talchi mentolati si mescolava a quello dell'alcol delle punture, la goccia scendeva sempre più lenta nel cilindro e, la bolla d'aria nella flebo adagiata, era sempre meno presente. La Sua ombra si stagliava spoglia e denutrita nell'angolo della stanza, mentre dinnanzi, collocati sul vecchio tavolo della ricezione della pensione, da parte di un postino delegato, un paio di mele della nostra terra venivano consumate dal tempo nefasto.
L'odore amaro dei talchi mentolati si mescolava a quello dell'alcol delle punture, la goccia scendeva sempre più lenta nel cilindro e, la bolla d'aria nella flebo adagiata, era sempre meno presente. La Sua ombra si stagliava spoglia e denutrita nell'angolo della stanza, mentre dinnanzi, collocati sul vecchio tavolo della ricezione della pensione, da parte di un postino delegato, un paio di mele della nostra terra venivano consumate dal tempo nefasto.
Una
vecchia sedia intessuta in paglia v'era di fianco al letto dell'infermo, di
quella figura così vigorosa che un tempo m'ebbe insegnato a suon di gesti e
parole dialettali, più di quanto abbia appreso fino ad oggi.
Ed è
ricorrente in questa parte dell'anno, l'immagine di quei cupi giorni, di quando
a capo chino sulla spalliera di quella sedia, chiudevo gli occhi incastrando la
mia giovane mano nella sua callosa di mille fatiche.
Non una
parola, oltre a quei lamenti dell'aldilà ch'ogni tanto proferivano dalle sue
labbra violacee. Il silenzio nell'ombra mordeva la mia pelle, usurava le mie
facoltà percettive, mi estraniava dal mondo dei vivi conducendomi in
quell'anticamera dove egli attendeva l'ultimo giudizio.
La sua
mano di tanto in tanto pulsava, stringeva le mie dita con tutta la sua forza
per dirmi che era ancora in attesa della collocazione. S'alternavano così
parole sconnesse e ripetute fra le bianche lenzuola che cingevano il corpo
morente mentre l'anima era ancora lì, incastonata nella gabbia della passione
di una vita fa.
Attraverso
le pulsazioni sempre più deboli delle vene della mano, con occhi chiusi scorgevo
le immagini del suo passato in base ai racconti ricevuti e custoditi
gelosamente nei miei archivi: vedevo 98 anni di albe differenti che
illuminavano le spighe nei campi di grano fino all'ultimo raggio di sole, lacrime
di pioggia che miste a sudore e fango s’insediavano fra le scanalature del
volto e le trame di una giacca sdrucita, vedevo la premitura delle uve e fumi
delle frasche impregnati del primo mosto salire verso il cielo e diradarsi fino
al mattino, vedevo le orme del padre che insegnavano quale parte di terreno era
possibile calpestare e quale coltivare, vedevo veloci destrieri imbizzariti
placati da una carezza sul muso, vedevo le notti passate sulle balle di fieno e
i corpi stanchi dei lavoratori riscaldati dalla fiamma tremolante del camino, ascoltavo
i primi gemiti dei figli riempire di gioia una desolante stanza di campagna per
poi prorompere da piccole finestre ed annunciare la lieta notizia lungo le valli
spinose di casa, sentivo partire verso i monti garganici, al suon d’una
schioppettata, agili setter e bracchi di gente proveniente d’oltralpe per
imparare l’arte venatoria e ancora, odoravo il pane cotto nel forno a paglia
amalgamato a quello dei lieviti mentre esperte mani tamburellavano nuovi impasti
… è l’incanto che prosegue nei miei anni, nei miei giorni, che si dispiega passo
dopo passo, inesorabilmente, nonostante l’immagine ridondante del suo caro capo
supino e morente giace nella penombra dinnanzi. Ed io fermo, impotente, con un
braccio adagiato sui cuscini disfatti per cingere le sue ossa e pelli
raggrinzite, per attendere, con lui.
Il
calore corporeo saliva distanziando il mio in pochi istanti. La sua mano pulsò
ancora, e poi di nuovo, incessante, seguirono parole, frasi, ed improvvisamente
partì in me il ricordo del rientro da scuola elementare, di quando correvo a
sedermi sul bracciolo della sua poltrona in attesa di una nuova storia ed in
attesa della risposta ad una domanda che non seppe mai rispondere: “Chi era il
cavaliere turchino?”
I suoi
flebili respiri disegnarono in me ancora nuovi personaggi, costruirono nuovi
intrecci, colorarono nuovi paesaggi. Poi tremò. Silenzio. Aprì gli occhi ed i
nostri sguardi si incrociarono come un tempo, come quando alla fine della lettura d’ogni capoverso egli
attendeva la mia domanda sulla storia. Lo fissai carezzandogli il volto spinoso
d’una barba incolta, asciugai i suoi occhi lacrimanti col suo fazzoletto in
tessuto, gli strinsi la mano, poi gli chiesi se il cavaliere turchino fosse
pronto per il viaggio.
Lo
specchio dei suoi occhi divenne liquido e frenetico come un mare in tempesta
quindi mi immersi bagnando il corpo di quelle onde di burrasca. Una fusione di
respiri e di anime, di immagini e racconti convergenti formarono una roccia
sulla battigia … non v’era più da temere. La sua anima si separò dalla mia e
salì verso il cielo terso attraverso un lampo improvviso. Il mare si placò, le
onde non s’infransero più sulla nostra roccia. Il mondo attorno a me si spense
in un’istante, fu subito buio. Rimasi dunque solo sulla battigia, chiusi gli
occhi in un sommesso pianto le cui gocce dalle ciglia scivolarono sulla lingua
di mare che bagnava i miei piedi scalzi. Sentii d’un tratto pulsare sulle
palpebre un focolare lontano, una strana forma rilucente.
In fondo
sull’orizzonte, a ridosso dello specchio di mare, lì dove si incrociano i
destini degli umani sconosciuti, si dipinse una fascia argentea rilucente,
trasposizione di una vibrante e luminescente spada. Da lontano vidi arrivare un
nobile destriero bardato dai contorni eterei, su di esso troneggiava un’armatura
turchina tanto sfavillante da non riuscire neppure a fissarla. L’armatura si
riempì d’una figura umana e familiare, prese la spada, la puntò verso di me
indicandomi la via del ritorno dicendomi di non temere. In fondo, proseguiva il
cavaliere, siamo parte della stessa storia, siamo stati scritti dallo stesso autore
ma letti da persone differenti, ed ogni volta che rileggerai queste pagine, io
sarò con te.
Mi
alzai, la sua spada puntò verso il cielo, segnò un solco squarciando il mondo
dell’attesa, mi rivolse ancora uno sguardo. L’ultimo. La mano non diede più un
segno, il respiro tacque per sempre.
Oggi,
come ogni anno in questo periodo, rileggo questa storia, una storia che ad ogni
lettura ed ogni anno passato con il cumularsi di nuove esperienze, si arricchisce
di nuovi elementi che in gioventù non potevo capire. Oggi rileggo per
ricongiungermi con il mio cavaliere, con il mio eroe di sempre.

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