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martedì 19 marzo 2013

Odore amaro


Sostantività non presenziava, quel giorno come i successivi. Rimembranze eterne ed immobili venivano assorbite dalla carta da parati, segnata da ventagli di luce timidamente elargiti dalle fessure delle persiane.
L'odore amaro dei talchi mentolati si mescolava a quello dell'alcol delle punture, la goccia scendeva sempre più lenta nel cilindro e, la bolla d'aria nella flebo adagiata, era sempre meno presente. La Sua ombra si stagliava spoglia e denutrita nell'angolo della stanza, mentre dinnanzi, collocati sul vecchio tavolo della ricezione della pensione, da parte di un postino delegato, un paio di mele della nostra terra venivano consumate dal tempo nefasto. 

Una vecchia sedia intessuta in paglia v'era di fianco al letto dell'infermo, di quella figura così vigorosa che un tempo m'ebbe insegnato a suon di gesti e parole dialettali, più di quanto abbia appreso fino ad oggi.

Ed è ricorrente in questa parte dell'anno, l'immagine di quei cupi giorni, di quando a capo chino sulla spalliera di quella sedia, chiudevo gli occhi incastrando la mia giovane mano nella sua callosa di mille fatiche.
Non una parola, oltre a quei lamenti dell'aldilà ch'ogni tanto proferivano dalle sue labbra violacee. Il silenzio nell'ombra mordeva la mia pelle, usurava le mie facoltà percettive, mi estraniava dal mondo dei vivi conducendomi in quell'anticamera dove egli attendeva l'ultimo giudizio.
La sua mano di tanto in tanto pulsava, stringeva le mie dita con tutta la sua forza per dirmi che era ancora in attesa della collocazione. S'alternavano così parole sconnesse e ripetute fra le bianche lenzuola che cingevano il corpo morente mentre l'anima era ancora lì, incastonata nella gabbia della passione di una vita fa.
Attraverso le pulsazioni sempre più deboli delle vene della mano, con occhi chiusi scorgevo le immagini del suo passato in base ai racconti ricevuti e custoditi gelosamente nei miei archivi: vedevo 98 anni di albe differenti che illuminavano le spighe nei campi di grano fino all'ultimo raggio di sole, lacrime di pioggia che miste a sudore e fango s’insediavano fra le scanalature del volto e le trame di una giacca sdrucita, vedevo la premitura delle uve e fumi delle frasche impregnati del primo mosto salire verso il cielo e diradarsi fino al mattino, vedevo le orme del padre che insegnavano quale parte di terreno era possibile calpestare e quale coltivare, vedevo veloci destrieri imbizzariti placati da una carezza sul muso, vedevo le notti passate sulle balle di fieno e i corpi stanchi dei lavoratori riscaldati dalla fiamma tremolante del camino, ascoltavo i primi gemiti dei figli riempire di gioia una desolante stanza di campagna per poi prorompere da piccole finestre ed annunciare la lieta notizia lungo le valli spinose di casa, sentivo partire verso i monti garganici, al suon d’una schioppettata, agili setter e bracchi di gente proveniente d’oltralpe per imparare l’arte venatoria e ancora, odoravo il pane cotto nel forno a paglia amalgamato a quello dei lieviti mentre esperte mani tamburellavano nuovi impasti … è l’incanto che prosegue nei miei anni, nei miei giorni, che si dispiega passo dopo passo, inesorabilmente, nonostante l’immagine ridondante del suo caro capo supino e morente giace nella penombra dinnanzi. Ed io fermo, impotente, con un braccio adagiato sui cuscini disfatti per cingere le sue ossa e pelli raggrinzite, per attendere, con lui.

Il calore corporeo saliva distanziando il mio in pochi istanti. La sua mano pulsò ancora, e poi di nuovo, incessante, seguirono parole, frasi, ed improvvisamente partì in me il ricordo del rientro da scuola elementare, di quando correvo a sedermi sul bracciolo della sua poltrona in attesa di una nuova storia ed in attesa della risposta ad una domanda che non seppe mai rispondere: “Chi era il cavaliere turchino?”
I suoi flebili respiri disegnarono in me ancora nuovi personaggi, costruirono nuovi intrecci, colorarono nuovi paesaggi. Poi tremò. Silenzio. Aprì gli occhi ed i nostri sguardi si incrociarono come un tempo, come quando  alla fine della lettura d’ogni capoverso egli attendeva la mia domanda sulla storia. Lo fissai carezzandogli il volto spinoso d’una barba incolta, asciugai i suoi occhi lacrimanti col suo fazzoletto in tessuto, gli strinsi la mano, poi gli chiesi se il cavaliere turchino fosse pronto per il viaggio.

Lo specchio dei suoi occhi divenne liquido e frenetico come un mare in tempesta quindi mi immersi bagnando il corpo di quelle onde di burrasca. Una fusione di respiri e di anime, di immagini e racconti convergenti formarono una roccia sulla battigia … non v’era più da temere. La sua anima si separò dalla mia e salì verso il cielo terso attraverso un lampo improvviso. Il mare si placò, le onde non s’infransero più sulla nostra roccia. Il mondo attorno a me si spense in un’istante, fu subito buio. Rimasi dunque solo sulla battigia, chiusi gli occhi in un sommesso pianto le cui gocce dalle ciglia scivolarono sulla lingua di mare che bagnava i miei piedi scalzi. Sentii d’un tratto pulsare sulle palpebre un focolare lontano, una strana forma rilucente.
In fondo sull’orizzonte, a ridosso dello specchio di mare, lì dove si incrociano i destini degli umani sconosciuti, si dipinse una fascia argentea rilucente, trasposizione di una vibrante e luminescente spada. Da lontano vidi arrivare un nobile destriero bardato dai contorni eterei, su di esso troneggiava un’armatura turchina tanto sfavillante da non riuscire neppure a fissarla. L’armatura si riempì d’una figura umana e familiare, prese la spada, la puntò verso di me indicandomi la via del ritorno dicendomi di non temere. In fondo, proseguiva il cavaliere, siamo parte della stessa storia, siamo stati scritti dallo stesso autore ma letti da persone differenti, ed ogni volta che rileggerai queste pagine, io sarò con te.

Mi alzai, la sua spada puntò verso il cielo, segnò un solco squarciando il mondo dell’attesa, mi rivolse ancora uno sguardo. L’ultimo. La mano non diede più un segno, il respiro tacque per sempre.

Oggi, come ogni anno in questo periodo, rileggo questa storia, una storia che ad ogni lettura ed ogni anno passato con il cumularsi di nuove esperienze, si arricchisce di nuovi elementi che in gioventù non potevo capire. Oggi rileggo per ricongiungermi con il mio cavaliere, con il mio eroe di sempre.

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