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sabato 10 marzo 2012

La Ferrara che ho ascoltato


Osservavo il tutto con estrema attenzione non lasciandomi sfuggire neppure un dettaglio. Il tutto mi affascinava e nonostante la mia frenetica voglia di scrivere pareri e opinioni sul web, lasciavo che la curiosità mi trasportasse tra quelle piazze per me immense, costellate da biciclette che veloci muovevano le catene verso le viuzze del centro storico. La sera, magica. La notte, infinita.
Erano i miei primi passi di circa 5 anni fa in questa ridente cittadina estense. Fui immediatamente colpito da quel sapore medioevale che potevo gustare in ogni circostanza vagando liberamente per il centro inabissando quella mole infinita d’esami che da tempo m’attanagliava. Ferrara si descriveva. Sentivo che aveva voglia di parlare, comunicare con  i miei sensi ed io, ero estremamente felice di custodire i suoi segreti allegando le mie prime impressioni. Ogni “sanpietrino” calpestato era come ripercorrere le orme di antichi signori feudali : in via delle Volte s’odoravano pasti caldi come zuppe e carni alla brace, pizze cotte a legna, cappellacci di zucca e dell’ottima salama da sugo. Per fortuna urla di bambini e venditori ambulanti di mercati adiacenti mi riportavano all’attenzione facendomi evitare quelle biciclette che sfrecciavano sicure come i veicoli in autostrada. Ho rimosso il numero delle volte in cui ho rischiato l’amputazione indolore e inconsapevole di qualche arto a caso, ma posso ben dirvi che è stato elevato. Ma il momento che successivamente mi fece innamorare della notte e che mi portò a costituire un primo portale in fase embrionale ad essa dedicato, è stato proprio l’essermi perso nel borgo medioevale. Era mercoledì sera e dovevo raggiungere la tanto attesa piazza per incontrare i primi “colleghi” universitari appena conosciuti tra i banchi della severa dimora giuridica di Corso d’Ercole. In quelle vie e cunicoli nei pressi di via Coperta, non era facile orientarsi ma ogni angolo che superavo era una sorpresa: una colonna, una chiesa, antiche fondamenta, travi a vista che sostenevano dei piccoli balconcini. Non avevo idea di dove fossi diretto ma le voci della piazza sembrava s’incanalassero come linfa fra le arterie d’una foglia, così scelsi di seguirle. La curiosità si infittiva, le prime bici, le prime urla di ragazzi, mi guardavo attorno, avevo lo sguardo rivolto verso l’alto per non perdermi ogni meraviglia che questa città mi stava regalando.
Con ansia continuavo, l’attesa saliva, il bisbiglio iniziale divenne un gran fracasso susseguito dai primi bonghi e le poco coordinate “schitarrate”… svolto, tengo il passo, la voglia aumenta, resisto, ancora un angolo, una statua, fantastica, ci sono, la sento…sto per immergermi, respiro a fondo, chiudo gli occhi per un momento, li riapro. La piazza.  
Si blocca l’istante come in una fotografia. Una videocamera piazzata su un punto fisso scattava improvvisamente mille fotogrammi al secondo. Sorrisi e campanelli si univano in un’unica grande melodia. Poi un abbraccio, il mio primo amico universitario. Fu come avvertire gli abbracci di tutti i presenti in quella “Trento e Trieste” illuminata di vita e al tempo stesso dal senso più stretto ed intimo d’umanità.
Ricordo che i locali erano pieni al martedì, il mercoledì, il venerdì, il sabato e la domenica. Praticamente ogni giorno c’era qualcosa da poter condividere con tutta quella gente. Ogni sera si rientrava sempre tardi, si passavano intere nottate a cantare in compagnia e si conosceva sempre gente nuova. I meridionali  erano abili nel conquistare fanciulle in “erasmus” improvvisando una lingua a metà tra dialetto e il finto inglese. Gli amici del nord se la cavavano di più con le nostre conterranee, affascinate da un nuovo accento, che a loro dire sembrava più raffinato rispetto al nostro rude ed eccessivamente villoso. Nelle romantiche vie del centro come “San Romano”, sbocciavano storie e amori universitari, tra un bicchiere di vino e qualche dispensa da poco ricevuta per un esame previsto magari per il giorno successivo. Il centro storico era un crocevia rigoglioso del mondo dove si tendevano la mano e si mescolavano esperienze di racconti e paesaggi lontanissimi, colori, modi di fare, lingue e dialetti totalmente differenti. Vivevamo ogni giorno numerose vite in poche ore. Ma non si frequentavano esclusivamente le vie fatte dei classici mattoncini rossi, ma anche i locali come enoteche, osterie, chupiterie, cornetterie, piadinerie, pub, disco club, club e grandi club.    
Oggi, a distanza di soli 5 anni, tralasciando l’evidenza e cercando di non cadere nell’inevitabile vizio della soggettività, le cose son cambiate radicalmente. Nel corso di questi ultimi anni, ho avuto modo di parlare continuamente con gestori e organizzatori di locali e serate: la magia sembra essersi arrestata, le piazze son deserte e quella linfa vitale che caratterizzava Ferrara per la sua freschezza e vitalità, appare essere scivolata nel baratro di una crisi senza precedenti. Forse le troppe regole da rispettare imposte al fine di tutelare la quiete pubblica, forse il periodo problematico degli ultimi tempi, forse la scarsità di iniziative per i giovani universitari e non,  hanno lasciato che il centro storico fosse seppellito e privato della sua luce naturale. Ora ripercorro quelle strade e avverto il fastidio dei sanpietrini sotto la suola delle scarpe, avverto un illuminazione troppo fioca, avverto il freddo pungente, la nebbia sento che s’annida nei pori fino a penetrare le ossa . . . prima, a tutto questo, non ci avevo mai fatto caso.

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