Osservavo il tutto con estrema attenzione non lasciandomi
sfuggire neppure un dettaglio. Il tutto mi affascinava e nonostante la mia
frenetica voglia di scrivere pareri e opinioni sul web, lasciavo che la
curiosità mi trasportasse tra quelle piazze per me immense, costellate da
biciclette che veloci muovevano le catene verso le viuzze del centro storico.
La sera, magica. La notte, infinita.
Erano i miei primi passi di circa 5 anni fa in questa
ridente cittadina estense. Fui immediatamente colpito da quel sapore medioevale
che potevo gustare in ogni circostanza vagando liberamente per il centro
inabissando quella mole infinita d’esami che da tempo m’attanagliava. Ferrara
si descriveva. Sentivo che aveva voglia di parlare, comunicare con i miei sensi ed io, ero estremamente felice
di custodire i suoi segreti allegando le mie prime impressioni. Ogni
“sanpietrino” calpestato era come ripercorrere le orme di antichi signori
feudali : in via delle Volte s’odoravano pasti caldi come zuppe e carni alla
brace, pizze cotte a legna, cappellacci di zucca e dell’ottima salama da sugo.
Per fortuna urla di bambini e venditori ambulanti di mercati adiacenti mi
riportavano all’attenzione facendomi evitare quelle biciclette che sfrecciavano
sicure come i veicoli in autostrada. Ho rimosso il numero delle volte in cui ho
rischiato l’amputazione indolore e inconsapevole di qualche arto a caso, ma
posso ben dirvi che è stato elevato. Ma il momento che successivamente mi fece
innamorare della notte e che mi portò a costituire un primo portale in fase
embrionale ad essa dedicato, è stato proprio l’essermi perso nel borgo
medioevale. Era mercoledì sera e dovevo raggiungere la tanto attesa piazza per
incontrare i primi “colleghi” universitari appena conosciuti tra i banchi della
severa dimora giuridica di Corso d’Ercole. In quelle vie e cunicoli nei pressi
di via Coperta, non era facile orientarsi ma ogni angolo che superavo era una
sorpresa: una colonna, una chiesa, antiche fondamenta, travi a vista che
sostenevano dei piccoli balconcini. Non avevo idea di dove fossi diretto ma le
voci della piazza sembrava s’incanalassero come linfa fra le arterie d’una
foglia, così scelsi di seguirle. La curiosità si infittiva, le prime bici, le
prime urla di ragazzi, mi guardavo attorno, avevo lo sguardo rivolto verso
l’alto per non perdermi ogni meraviglia che questa città mi stava regalando.
Con ansia continuavo, l’attesa saliva, il bisbiglio iniziale
divenne un gran fracasso susseguito dai primi bonghi e le poco coordinate
“schitarrate”… svolto, tengo il passo, la voglia aumenta, resisto, ancora un
angolo, una statua, fantastica, ci sono, la sento…sto per immergermi, respiro a
fondo, chiudo gli occhi per un momento, li riapro. La piazza.
Si blocca l’istante come in una fotografia. Una videocamera
piazzata su un punto fisso scattava improvvisamente mille fotogrammi al
secondo. Sorrisi e campanelli si univano in un’unica grande melodia. Poi un abbraccio,
il mio primo amico universitario. Fu come avvertire gli abbracci di tutti i
presenti in quella “Trento e Trieste” illuminata di vita e al tempo stesso dal
senso più stretto ed intimo d’umanità.
Ricordo che i locali erano pieni al martedì, il mercoledì,
il venerdì, il sabato e la domenica. Praticamente ogni giorno c’era qualcosa da
poter condividere con tutta quella gente. Ogni sera si rientrava sempre tardi,
si passavano intere nottate a cantare in compagnia e si conosceva sempre gente
nuova. I meridionali erano abili nel
conquistare fanciulle in “erasmus” improvvisando una lingua a metà tra dialetto
e il finto inglese. Gli amici del nord se la cavavano di più con le nostre
conterranee, affascinate da un nuovo accento, che a loro dire sembrava più
raffinato rispetto al nostro rude ed eccessivamente villoso. Nelle romantiche
vie del centro come “San Romano”, sbocciavano storie e amori universitari, tra
un bicchiere di vino e qualche dispensa da poco ricevuta per un esame previsto
magari per il giorno successivo. Il centro storico era un crocevia rigoglioso
del mondo dove si tendevano la mano e si mescolavano esperienze di racconti e
paesaggi lontanissimi, colori, modi di fare, lingue e dialetti totalmente
differenti. Vivevamo ogni giorno numerose vite in poche ore. Ma non si
frequentavano esclusivamente le vie fatte dei classici mattoncini rossi, ma
anche i locali come enoteche, osterie, chupiterie, cornetterie, piadinerie,
pub, disco club, club e grandi club.
Oggi, a distanza di soli 5 anni, tralasciando l’evidenza e
cercando di non cadere nell’inevitabile vizio della soggettività, le cose son
cambiate radicalmente. Nel corso di questi ultimi anni, ho avuto modo di
parlare continuamente con gestori e organizzatori di locali e serate: la magia
sembra essersi arrestata, le piazze son deserte e quella linfa vitale che
caratterizzava Ferrara per la sua freschezza e vitalità, appare essere
scivolata nel baratro di una crisi senza precedenti. Forse le troppe regole da
rispettare imposte al fine di tutelare la quiete pubblica, forse il periodo
problematico degli ultimi tempi, forse la scarsità di iniziative per i giovani
universitari e non, hanno lasciato che
il centro storico fosse seppellito e privato della sua luce naturale. Ora
ripercorro quelle strade e avverto il fastidio dei sanpietrini sotto la suola
delle scarpe, avverto un illuminazione troppo fioca, avverto il freddo pungente,
la nebbia sento che s’annida nei pori fino a penetrare le ossa . . . prima, a
tutto questo, non ci avevo mai fatto caso.

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